Una storia da raccontare. Filippo D’Aleo, Matteo Colucci e l’Akragas. Il calcio che ci piace

Inizia tutto un maledetto dicembre di tre anni fa. Il covid è l’argomento del giorno ed il male da cui tutti tentano di sottrarsi, tranne loro. Loro, i sanitari, medici e infermieri, no. Non possono, sono in prima linea per curare chi finisce ricoverato. Rivestiti dei loro camici bianchi, mascherine, occhiali per interi turni, a volte 8 o 9 ore, annichiliti dal sudore, perchè quelle tute bianche ti fanno sudare da morire, loro non demordono e qualcuno si da coraggio, magari scrivendo a mano il nome del proprio idolo. Chi scrive il nome di Ibra con il relativo numero 9, chi il 3 di Chiellini, chi il 17 di Immobile, chi invece scrive il nome di Colucci. Eh si avete capito bene, Colucci, Matteo Colucci, il leggendario capitano dell’Akragas. A scrivere il nome di Colucci sul dorso della propria tuta, un infermiere agrigentino, che lavora all’Ospedale San Gerardo di Monza, tifoso del gigante, Filippo D’Aleo.

Quel Colucci, che appena saputo che l’infermiere tifoso si era a sua volta ammalato di Covid-19 ed era finito prima in terapia intensiva e poi in coma, intubato, come tantissimi che poi purtroppo non ce l’hanno fatta si è subito premurato di mandare un videomessaggio di incoraggiamento al tifoso eroe, a quel gigante che per salvare la vita degli altri adesso rischiava la sua. Un infermiere tifoso dell’Akragas, uno di quelli che una volta trasferitosi al nord per inseguire la propria passione, la propria professione, non aveva mai scordato la propria città, la propria squadra del cuore, l’Akragas.

Filippo D’Aleo, ha lottato per diversi mesi, ed è guarito, a distanza di un pochi mesi però è stato messo nuovamente a dura prova dalla vita ed ha subito l’onta di un nuovo “agguato” dalla sorte che lo ha sottoposto ad un nuovo e difficile intervento chirurgico per rimuovere un tumore ai polmoni. Una serie di prove che avrebbero demolito chiunque, non lui, il “gigante buono, la roccia”, così come definito da familiari ed amici, come Gerlando Navarra, agrigentino residente a La Spezia, che fondava nella cittadina ligure un Akragas Fans Club intitolato proprio a Filippo D’Aleo, a dimostrazione del coraggio dimostrato nei confronti della malattia che ha cercato di portarlo via dall’amore e dall’affetto dei suoi cari.

I tifosi dell’Akragas, gli sono stati vicini. In molti lo hanno sostenuto, a dimostrazione del fatto che lo sport ed il calcio in modo particolare unisce ed è capace di sorprenderci quando meno ce lo aspettiamo. Forza e coraggio che sono arrivati dritti al cuore di Filippo a cui la leggenda dell’Akragas Matteo Colucci aveva indirizzato nel suo commovente video l’invito a non mollare mai. Colucci aveva promesso a Filippo di regalargli lo storico gagliardetto dell’Akragas anni ’80.

Una promessa mantenuta giusto pochi giorni fa, allorquando Matteo Colucci ospite della trasmissione sportiva di Sportitalia, in quel di Milano, ha potuto incontrare Filippo D’Aleo, che ha avuto il piacere di trascorrere insieme a lui ed alla sua famiglia diverse ore, finanche alla cena in casa D’Aleo con tanto di omaggio del gagliardetto promesso.

(Video di Giuseppe Barresi)

“La mia squadra del cuore da sempre è stata l’Akragas. Il suo grande capitano anni 80 era lui: Matteo Colucci. Un uomo tenace, che sul campo non mollava mai. 

Durante la pandemia – ha raccontato Filippo D’Aleo dalla sua pagina facebook – noi sanitari scrivevamo sul dorso delle nostre tute il nome di un calciatore importante. Io scrissi il nome di Colucci.

Poi è toccato a me “non mollare”. al mio risveglio vedere tra i tanti video di incoraggiamento anche quello di Matteo è stato motivo di sprone ad andare avanti sempre.

Mercoledì scorso, si è chiuso un cerchio. Grazie Matteo, viva la Vita e Forza Akragas”

Filippo D’Aleo